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{             BREVE   COLLEGAMENTO    CON    LA    LETTERATURA           }

 

LEOPARDI

 

Anche Giacomo Leopardi (nato a Recanati nel 1798 sotto il Papato) secondo il Luparini può essere considerato un filosofo, ma non un filosofo sistematico quale potevano essere Aristotele, Kant che filosofavano partendo da basi  astratte, ma bensì uno dei filosofi della morale che volgono la loro conoscenza secondo un’esperienza diretta.

 

L’INFINITO

 

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi al di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo; ove per poco

il cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio:

e il naufragar me dolce in questo mare.

 

Questa lirica  facente parte del giovane Leopardi nella sua 1° fase (detta poetica ) fu composta tra il 1815-1821 e fa parte dei PICCOLI IDILLI.

 

Fasi di produzione del Leopardi:

​

Fase poetica Piccoli Idilli 1815-1821

Fase del silenzio poetico (opere in prosa) Opere Morali 1821-1827

Fase di ripresa poetica Grandi Idilli1827-1837

​

In questa poetica il Leopardi tratta senza ombra di dubbio come tematica principale l’infinito e soltanto inerentemente a tale tematica essa verrà presa in considerazione; questo perché molto più ampie e profonde sono le problematiche esposte in essa che per svilupparle tutte occorrerebbe un approfondimento specifico.

 

Leopardi scrive questa lirica all’età di 21 anni quand’era ancora molto giovane.

Infinito sta’ a significare senza una fine, senza un termine, e di conseguenza senza un confine ( ciò che sfugge quindi alla ragione del linguaggio umano e che non può ne essere compreso ne definito; al quale lo stesso linguaggio rappresenta  il limite stesso).

 
La domanda che scaturisce spontanee è come mai il Leopardi  che è un sensista ammette che un essere finito come l’uomo possa  percepire qualcosa di infinito?

 

Secondo quanto riportato nella poesia ogni volta che l’autore sale su quel colle sperduto egli vaga alla ricerca dell’infinito, questo essenzialmente   perché l’uomo ha desideri, razionalità ,fantasia, ecc. infatti il tratto che divide l’uomo dall’animale è la razionalità, e l’immaginazione è il tratto dell’utopia quello che permette all’uomo di combattere l’infelicità (Pessimismo Leopardiano à Pessimismo Esistenziale) attraverso dei vaghi sogni o speranze.

 

L’immaginazione dello scrittore viene spinta al di là dalla siepe.. al di qua la quiete che rappresenta il mondo razionale ove ogni cosa ha una definizione, ove tutto è logicamente correlato ove l’uomo trova una razionale relazione in tutto ove egli si sente possibilitato alla comprensione e alla comunicazione, successivamente la siepe, IL  LIMITE e al di là : l’infinito. A questo punto occorre soffermarsi sulla differenza di significato tra infinito ed indefinito. Infatti seppur il Leopardi utilizza il termine infinito, egli si riferisce all’indefinito.

 

  •   Infinito sta’ a indicare ciò che non ha fine:  è impossibile che il Leopardi utilizzi questo significato perché l’infinito dovrebbe esserlo in tutte le direzioni ( come fa notare Freeman J.Dyson   in un libro con lo stresso titolo edito in Italia da Rizzoli) ma vi è un principio la siepe che rappresenta il limite e che quindi di per sé esclude l’utilizzo da parte dello scrittore di questo termine.

  •   Indefinito sta’ a indicare ciò che è senza possibilità di definizione: ciò che c’è ma che è impossibile definirle.

 

Per il Leopardi ciò che sta’ al suo interno può benissimo essere definito, mentre tutto il resto non ha una definizione, si può provare a definire ma ciò non toglie che resterà indefinito. La siepe funge da limite al di là del quale posso provare a conoscere , definire, ma non in modo diretto e solamente attraverso dei segnali. L’irrazionalità, come la struttura sulla quelle nell’oceano si sviluppa una tempesta ecco come appare l’indefinito al di là della siepe. Egli Solamente nel suo interno trova la definizione, il finito, coerentemente alla sua ideologia dell’uomo come essere finito, mentre al suo esterno recupera l’indefinito, l’impossibilità di definizione. Infatti quando parla delle sue idee, di lui usa il definire, mentre quando discorre su gli altri, utilizza l’immaginare. Ciò accende un dibattito sui punti di riferimento da utilizzare per la conoscenza, per la comprensione che si allargano oltre al mondo fisico, anche alla sfera morale. In effetti questa impossibilità di comprendere, definire, ecc. non si basa solamente sulla conoscenza della natura alla quale l’uomo secondo le sue idee mai verrà alla conoscenza delle cause e dei fini, ma si estende anche allo stesso uomo al quale un altro uomo con i suoi parametri e le sue idee sviluppatesi in un personale cammino (e qui mi sembra doloroso richiamare che egli fu un autodidatta ) mai potrà definirne le attività e ragioni di quei comportamenti svolti dal suo simile. Naturalmente l’indefinito rappresenta come già in prima analisi notato l’impossibilità del linguaggio di porre la comunicazione tra gli esseri. Esso infatti la permette la comunicazione, ma lo fa’ in modo imperfetto. Anche nella quotidiana vita la difficoltà di comunicare idee, sensazioni, ecc. tra ognuno di noi esiste, come esiste l’incomprensione di alcuni atti che per altri sembrano del tutto razionali, mentre a noi compaiono insignificanti e senza motivazioni, senza fini. Ecco quindi la necessità dello scrittore di richiamare l’attenzione del lettore attraverso gli altri sensi, e soprattutto attraverso la proiezione acustica, ovvero attraverso il suono. Il senso dell’udito ci consente secondo lo scrittore di richiamare la nostra attenzione e di attivare tutti gli altri sensi. Per l’autore dunque l’unico punto ESISTENZIALE è il COGITO ERGO SUM   ( derivante dal dubbio metodico di Cartesio).

 

Io esisto in quanto essere dubitante, per Leopardi questa era l’unica realtà coincidente a tutti gli uomini quindi una realtà , un principio dei principi finito, ma non molto bene definito.

Quindi per Leopardi è inammissibile l’infinito, infatti pone la siepe come principio, come limite, mentre l’indefinito è realmente credibile , in quanto neppure l’unico principio esistenziale trova completa  definizione e comunicabilità attraverso il linguaggio. Attraverso quest’ultima affermazione si può dire che lo scrittore sia un unificatore, nel senso che recupera l’infinità delle cose in un unico principio dal quale la moltitudine delle cose si separa e prende atto. Egli recupera in questo punto l’unico concreto punto di eguaglianza di esperienze e di possibilità di definizione tra agli esseri umani.

 

 

Lo scrittore crede quindi che la Natura possa essere ridotta quindi ad un sistema limitato. L’infinito prenderebbe quindi inizio da questo unico principio portando ad essere quindi il Leopardi l’ultimo dei grandi filosofi e derivando quindi anche egli, come Freeman unico principio che è quello del cogito ergo sum dal quale razionalmente si può partire e ritornare. Quindi la moltitudine delle cose si Dyson enuncia nel suo libro ( Infinito in ogni direzione) un seguace della scuola di Atene.{Questo perché per lui la scuola di Atene evidenzia idee e teorie; cercando di trovare principi unificatori che reggano l’intero universo}. Sorge quindi una domanda: come mai Leopardi, consapevole dell’instabilità dei sistemi e dei parametri di riferimento, consapevole dell’impossibilità di avere risposte si basa sul cogito ergo sum ?

Di principio non è alquanto semplice la risposta, anzi è del tutto piena di pregiudizi. Ma secondo me (e questa è la mia inautorevole risposta) il Leopardi che non credeva in nessuna religione, in quanto uomo e quindi essere razionale per forza, non per volontà doveva, necessitava di  trovare un principio, il più razionale e quindi nell’imperfezione il più perfetto sul quale potesse erigersi l’intero mondo. Egli per l’appunto, partendo da un sistema del tutto pessimistico e pieno di diffidenza, quale l’analisi svolta da Cartesio, lo trovò nel cogito ergo sum. Una volta effettuato il passaggio oltre la siepe, egli tenta di misurare, comparare ciò che sta’ al di là con ciò  che si trova al di qua non riuscendo a definire nulla, ma recuperando solamente un  senso di eterno e di infinito che lascia tutto da definire. Ciò rappresenta un dolce naufragare senza meta, senza possibilità di controllo, di definizione, in balia dell’impossibilità di definire e quindi di comprendere cosi come se si trovasse in una zattera in balia del mare.

Penso profondamente che l’intero percorso dell’uomo, altro non sia che un rincorrere la conoscenza e la verità al fine del raggiungimento della felicità propria. Tutto il resto gira intorno a questo, quindi di fare un principio che regoli il mondo, oppure vedere il tutto come una molteplicità di relazioni, principi, ecc.  altro non sia che un modo come un altro di ricercare tale conoscenza.  Poco conta il metodo, il sistema o i parametri con cui l’uomo effettua la sua ricerca; quello che realmente conta, altro non è che la sua felicità interiore, che può raggiungere forse, con date conoscenze conquistate, sfida dopo sfida attraverso un cammino personale che lo elevi al suo benessere. Non è possibile comprendere il tutto, poiché il limite esiste, ed è più che concreto e il conseguimento dell’interpretazione del passato al fine di conoscerne il futuro, altro non può scaturire che in una confusione enorme. Quello che conta è la presa di coscienza di tale limite umano, e l’atto di coscienza per cui la per raggiungere  nostra felicità non serve l’intera comprensione, ma basta soltanto il rendersi conto della nostra sfera d’azione in cui ogni passo verso la verità, altro non è che una grande conquista. Come scrive Friedman i limiti sono svelati ormai, altro non ci resta che scoprire che cosa sta’ all’interno di questi.

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